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Introduzione

Ventimiglia, Luglio 2015.

Il paesaggio scorre veloce lungo i finestrini del treno regionale 10103 che porta a Ventimiglia. Penetrando nell'ombra dei palazzi la skyline del boom edilizio opprime la bellezza romantica delle case fatiscenti del centro storico arroccate dinnanzi al mare. Sotto il sole di luglio un flusso continuo di persone scorre come un fiume in piena all'interno del sottopasso ferroviario, le gocce di sudore scivolano lungo i volti affaticati della gente, la temperatura è africana come africani sono gli sguardi smarriti delle persone che bivaccano ai lati dell'ingresso della stazione, alcuni dormono distesi al suolo, altri parlano tra loro, altri ancora guardano ed osservano in silenzio il popolo vacanziero che corre intorno a loro.
Dopo poche centinaia di metri balza subito agli occhi il presidio sugli scogli di Ponte San Ludovico, in un lembo di rocce stretto e lungo adiacente alla strada. Un cartellone con disegnato un'allegro pesciolino indica la spiaggetta dei Balzi Rossi dove sostano i turisti, il paesaggio circostante crea un forte contrasto visivo ed emotivo con lenzuoli bianchi che sventolano al vento sopra gli scogli, materassi distesi ovunque lungo il ciglio della strada e sacchi sparsi contenenti rifiuti. I migranti sono una cinquantina, quasi tutti sudanesi, eritrei e somali, volontari della Croce Rossa Italiana e Francese assicurano vestiti puliti, beni di prima necessità e cure mediche. Ogni sera i migranti ed i ragazzi volontari del presidio permanente "No Borders" s'incontrano per discutere le strategie del giorno, pulizie degli spazi e convivenza con la comunità circostante. Sono le sette di sera quando i volontari della Fratellanza Musulmana provenienti dalla Francia distribuiscono la cena dal bagagliaio di una station wagon, vengo invitato a cenare in compagnia di tre ragazzi, mi adagio sopra un tappeto indiano disteso al suolo come tovaglia, incrocio le gambe e stringo le mani dei tre giovani, in quel piccolo intreccio di tessuti colorati l'ospite sono io, gli sguardi dolci di chi non possiede nulla mi trattano con riverenza e mi viene offerto tutto quello che possono offrirmi del loro cibo appena ricevuto. Moustafa ha 20 anni e proviene dal Sudan, è preoccupato perchè l'ultima volta che ha sentito sua mamma è stato oltre un mese fa, in Libia, prima di intraprendere il lungo viaggio della speranza attraverso il Mediterraneo, mi guarda con gli occhi lucidi di chi cerca delle risposte, con la voce strozzata e tono basso mi domanda:
-why? why? why?
Ripete la stessa parola per una decina di secondi che a me paiono interminabili, ogni volta che le sue labbra pronunciano quel "perchè?" il mio capo si china sempre più per la vergogna che provo nel non riuscire a dargli una risposta.
Gli altri due ragazzi sono afghani, Ahmad ha 26 anni e Sami 24, entrambi provengono da Kabul, hanno percorso il tragitto a piedi e con mezzi di fortuna, prima di riuscire ad entrare in Grecia dopo oltre due mesi di viaggio. Tra un boccone e l'altro traduciamo i nomi del cibo presente sul tappeto in italiano, afgano e arabo, le risate per le nostre buffe pronunce si susseguono sino a quando cala il sole. Le stelle e la luna riflettono il loro candore sulla superficie frastagliata del mare. Coperte e lenzuoli avvolgono i migranti sparsi ovunque tra gli scogli ed il ciglio della strada. Alcuni tenteranno di raggiungere la Francia con il treno, altri si inoltreranno tra la boscaglia dei monti di confine, seguendo sentieri e guide improvvisate che per 150 euro o più mostreranno loro il cammino della speranza.
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